Una U. A. economicamente in ordine non è un peso per la Comunità ma è il volano per lo sviluppo del territorio, significa posti di lavoro –economia indotta -marketing del territorio – rilancio delle attività turistiche. Il futuro delle U. A. dovrebbe essere quello -dove possibile- di trasformarsi in Azienda Ecologica preservando il suo patrimonio integro, produttivo e fruibile dalla collettività, e nel pieno rispetto della particolare natura giuridica dei suoi terreni, sviluppando attività che realizzino reddito, opportunità di impiego, strutture operative che promuovano il territorio (manifestazioni culturali, fiere, eventi ludici o culturali/informative etcc.).

Per questo riteniamo importante lo sviluppo di due fronti di lavoro, il primo relativo agli Archivi storici ed al patrimonio documentario materiale ed immateriale detenuto dalle U. A. , ed il secondo la creazione di percorsi turistico- culturali , una “Strada delle Università Agrarie”, naturalmente premessa necessaria a tutto ciò è l’istituzione una Banca Dati da rendere fruibile attraverso il Sistema Informativo della Regione, condiviso dalla Sovrintendenza Archivistica per il Lazio e dalle Province. Banca in cui verrà fatto confluire un censimento dettagliato ed accurato delle U. A. .
 
Tutto questo significa grandi possibilità lavorative a diverse figure professionali (ex: riordino, inventariazione, informatizzazione e gestione degli Archivi ) in particolare poi per la Banca (censimento, acquisizione di materiali documentari e l’implementazione) .
L’ideale strada delle U. A. poi, potrebbe essere legata a particolari forme di agriturismo e creare e lavoro, soprattutto in aree depresse ed in centri molto piccoli che non sono interessati dai normali flussi turistici.

Nell’interesse poi di una corretta gestione del territorio -proprio sulla base di quanto detto – sarebbe importante che i grandi patrimoni di terre collettive gestiti dai comuni – il più delle volte in stato di abbandono o peggio, privatizzati dai comuni che li amministrano come bene patrimoniale – fossero gestiti da U.A. o da Amministrazioni Separate appositamente costituite.

I cosidetti “usi civici “ consentono un diverso modo di possedere, né pubblico né privato che permette – uscendo dalla tenaglia che strozza i dibattiti sulla gestione – una gestione della risorsa ambientale responsabile, che risponde al preciso dovere di conservare il patrimonio naturale e rurale collettivo per le generazioni future.
 
Il territorio della Regione Lazio è composto da due diverse realtà storiche preunitarie : lo Stato Borbonico  e quello  Pontificio , che hanno trattato il  tema delle terre  collettive legislazioni completamente diverse. Per il primo  parliamo di terre collettive delimitate intorno al 1806 da una massa originaria e quindi con estensione e localizzazione abbastanza definite, ma non si può dire altrettanto del secondo, dove data l’estrema frammentazione dei diritti sul territorio nell’arco di 50 anni due Leggi cercano di operare  dei  censimenti per poi procedere alla loro  sistemazione .  
Più precisamente:
– la prima volta nel 1888 ai sensi dell’art.12 della L.5489 con cui è  stabilita la redazione di Elenchi  delle Servitù.
– la seconda nel ventennio fascista a partire dal 1924.
 
Entrambi  e  censimenti si opera  in un super asettico ambiente giuridico, tutto passa attraverso la pubblicazione degli atti che garantisce gli elenchi finali prodotti anche  se  sorge spontaneo notare, che  in una materia  alla cui base è  la documentazione storica, mai si fa accenno ad una corretta impostazione dell’acquisizione dei materiali documentari che determinano l’ accertamento.  Pochissimo poi è indicato in merito alla documentazione per tradizione orale,  eppure tre sono le chiavi di lettura degli usi civici : il diritto, la storia e l’antropologia.
Del primo censimento non sono mai stati resi noti i dati conclusivi a meno che non vogliamo considerare tali  – ma sono parziali poiché limitati al 1904- quelli della Relazione del Ministro Rava.
 
Il  secondo censimento è ipoteticamente ancora in atto per tutto il territorio nazionale ed in esecuzione oggi alle Regioni con il trasferimento delle funzioni amministrative operate con il DPR 616 nel 1977.  L’operazione che occupa gli anni 1924-28, ed è attuata in termini strettamente giuridici, e legata esclusivamente a ciò che si poteva direttamente constatare a quella data in  ogni territorio comunale. Mezzo scelto la “Dichiarazione”  presentata da privati, comuni o enti interessati all’esercizio dei diritti o alla loro rivendica, al Commissariato per la Liquidazione degli Usi Civici – struttura appositamente creata all’interno del Ministero dell’Economia Nazionale  –  o alternativamente al Pretore, che comunque aveva obbligo di versarla al Commissariato.

Il censimento è organizzato in tre fasi. Ha inizio con il R.D. n.7511924 che all’art. 2  recita : “Chiunque eserciti o pretenda  diritti ….è tenuto…..entro due anni dall’entrata in vigore del presente decreto, a farne dichiarazione al Commissario ……., che accertatane l’esistenza, la qualità e l’estensione, provvederà alla loro liquidazione. Trascorso detto termine  rimane  estinta ogni azione diretta ad ottenere il riconoscimento dei diritti medesimi….” disponendo così la presentazione delle dichiarazioni.  E’ confermato dalla Legge n.17661927 che all’art.3 indica “Chiunque eserciti o pretenda esercitare diritti della natura ……è tenuto, entro sei mesi dalla pubblicazione della presente Legge farne dichiarazione al Commissario…. Trascorso detto termine senza che siansi fatta dichiarazione, rimane estinta ogni azione diretta ad ottenere il riconoscimento dei diritti medesimi, che non trovinsi  in esercizio e la rivendicazione delle terre soggette agli usi civici”.  Ed è’ infine precisato con il Regolamento di attuazione della Legge, promulgato con R.D. 3321928 che all’art. 1 recita : “ Le dichiarazione del Podestà e dei rappresentati delle Associazioni agrarie, da presentarsi ai sensi dell’art.3 della Legge, dovranno contenere l’indicazione degli usi esercitati o pretesi e delle terre che si ritengono gravate. Trascorso il termine di sei mesi dalla pubblicazione della legge senza che siensi fatte le dichiarazioni, rimane estinta ogni azione diretta ad ottenere il riconoscimento dei diritti … che non trovinsi  in esercizio, e la rivendicazione delle terre che vi sono soggette.”.

Tra le dichiarazioni/denunce presentate nelle tre diverse fasi di censimento occorre osservare che esiste  – o almeno dovrebbe esistere- una differenza  di estrema importanza tra  quelle  presentate ai sensi del R. D. 751 e della Legge 1766 e quelle presentate ai sensi del R.D. 332, infatti nel caso di queste ultime  il  Regolamento  all’art.2 impone che le denunce  “….potranno contenere anche l’indicazione delle terre comuni o demani comunali da restituirsi nella loro originaria estensione”, quindi permette di estendere il censimento – o almeno né da la possibilità – anche ai territori già appartenenti al Regno di Napoli
Le denunce comunque – a prescindere dal loro valore “giuridico” quali documenti probatori ai fini dell’accertamento della natura giuridica di un terreno-  sono una documentazione  di estremo interesse, nello studio della storia del territorio, rilevando toponimi, confini  e comprendendo descrizioni ad annum di un  territorio .
 
Questo  censimento  -ripetiamo  ancora ipoteticamente in  atto  attraverso le verifiche demaniali- è  stato  completato  per  alcuni  comuni (chiusure operazioni  demaniali), mentre  per  altri è  totalmente ancora in atto  ed infine  per un  terzo  gruppo ha prodotto documentazioni parziali (assegnazioni  a categoria).