Le Università, Associazioni e Comunanze Agrarie attualmente presenti nel territorio regionale sono sorte sul finire del 1800 a seguito della legge 394 /1894, per l’organizzazione e gestione delle terre collettive createsi con le affrancazioni delle servitù (operate per scorporo) dalla Legge 5489/1888 nei territori dell’ex – Stato Pontificio; il R.D. 1472/1922 ne definisce ulteriormente il ruolo e la legge 1766 /1927 ne ha regolamentato più in dettaglio i meccanismi di gestione.
Università, Comunanze e Associazioni agrarie amministrano la maggioranza delle terre collettive del territorio laziale – genericamente si parla di circa 55.000 ettari- nonostante ciò fino ad oggi non è stato attivato nessun intervento finalizzato all’identificazione – soprattutto ad una mappatura- della consistenza dei terreni che gestiscono, ne tanto meno ai patrimoni documentari che conservano nei loro archivi.
 
 
Nel censimento operato dalla Direzione Beni e Attività Culturali, Sport ne sono state rilevate ad oggi 172 in totale, di cui 84 soppresse e 88 ancora esistenti e operanti, di cui 26 in provincia di Roma, 21 in provincia di Viterbo, 39 in provincia di Rieti , 2 in provincia di Latina e nessuna in provincia di Frosinone .
La loro storia è legata essenzialmente a quella dei grandi latifondi terrieri ed all’inizio del 1900 acquisiscono una tale importanza da riunirsi in una Federazione che tiene il suo primo Congresso nel 1911 ; risultavano essere circa 120.
Per secoli la Campagna Romana e la maggior parte dei territori che compongono l’attuale Lazio sono stati feudi delle grandi famiglie romane, con quanto ne deriva in fatto di diritti civici e concessioni dei feudatari alle collettività che li abitavano .
All’unificazione italiana uno dei problemi prioritari affrontati dal Regno, fu proprio quello agricolo, delle terre mal coltivate, con redditi irrisori e un regime idrico che rendeva malsana l’aria anche della stessa città di Roma, e dei diritti (in genere pascolo e legnatico) che gravano sui terreni e rappresentavano il sostentamento delle collettività che li abitavano .
Le resistenze dei proprietari dei fondi a consentire l’esercizio dei diritti e l’interesse opposto di chi li rivendicava orientarono il legislatore verso la liquidazione delle terre private riservandone una parte all’esclusivo dominio del proprietario ed un’altra alla popolazione in godimento collettivo.
Lo scioglimento delle comunioni di diritti, portò alla creazione di vaste aree di proprietà collettiva inizialmente amministrate dai comuni o ove esistevano dalle Arti Agrarie e dalle Società dei Boattieri, quindi la legge 397/1894 da nuovi soggetti per i quali è utilizzato l’antichissimo termine di Università Agraria.
La politica agraria del Regno – su questo tema fu estremamente equilibrata anzi veramente saggia- infatti le due leggi citate 5489/1888 e 397/1894 parlano in un linguaggio di civiltà giuridica in cui il valore della comunità è più importante di quello dei singoli, tutt’ora difficilmente capibile ad eccezione proprio di chi gravita nel mondo Università Agrarie.
 
Alcuni anni dopo la promulgazione delle due Leggi -proprio per valutarne i risultati e riprendere il discorso legislativo- il Ministero dell’ Agricoltura organizza un censimento dei domini collettivi e degli enti che gli amministrano, ed il Ministro Rava nella sua relazione parlamentare annota per il territorio laziale la presenza di 69 associazioni di cui 21 preesistenti alla 5489/1888 e 48 sorte a suo seguito, ed identifica la proprietà collettiva in 33.199,57.21 Ha considerando però che erano ancora pendenti molti giudizi di liquidazione con possibilità di creare nuove terre collettive ; indica altresì Castel Madama, Civitella San Paolo, Fiano, Filacciano, Monte Flavio, Morlupo, Nerola, Montorio Romano, Vicovaro, Monteromano, Cerveteri,Vico nel Lazio, Bassano di Sutri, Calcata, Capodimonte, Cellere, Farnese, Marta, Ronciglione, San Giovanni in Tuscia patrimoni collettivi preesistenti alla 5489/1888 amministrati dai comuni.
Saranno questi i dati una delle basi da cui sarà creata la Legge 1766/1927 ancora in uso.
A tal pro giova ricordare che la politica legislativa del Regno ereditava quelle degli stati preunitari, per alcuni dei quali la liquidazione dei diritti civici era un obiettivo primario per perseguire un “ammodernamento delle strutture agricole”, contemporaneamente era il cavallo di battaglia delle allora classi dirigenti liberali, che come già accennato, puntavano ad una maggiore produttività dei terreni agricoli, in chiaro scontro con le esigenze dei più che traevano la loro sussistenza soprattutto dall’esercizio dei diritti civici su terre o private o collettive.
 
La prima fase legislativa italiana è dunque caratterizzata da un approccio produttivistico, ma poco organico, mentre con il periodo fascista se ne apre una seconda, che sistematizza tutta la materia in un’ ottica di riforma agraria, puntando sempre più allo sgravio delle terre, non caso sono infatti sono costituiti i Commissariati per la liquidazione degli usi civici il cui compito era specifico ed ai quali veniva data larga autonomia proprio per l’espletamento della sistemazione totale del territorio, fatto però ad oggi assolutamente non realizzato.
Nel periodo fascista nel Lazio esistevano circa 170 Università Agrarie, nel volgere di pochi anni ne sono abolite circa 80 adducendo a motivazione problemi amministrativi e gestionali . In genere erano nominati dei Commissari per riequilibrare dissesti amministrativi, e spesso anche in presenza di notevoli patrimoni da gestire l’ente veniva soppresso e le terre date in gestione al Comune.
Chiaramente le U. A. rappresentavano un problema per il Fascismo. Estremamente radicate ed organizzate nel territorio tanto che non solo organizzano Congressi ma hanno una rivista quindicinale che capillarmente racconta fatti ed esperienze da tutta la nazione e funziona da elemento catalizzatore (Bollettino per gli usi civici e demani popolari, Rivista quindicinale a partire dall’anno 1911).
 
Il fascismo perseguirà il progetto di creare la piccola proprietà contadina , quindi grandi masse di terreni collettivi – quasi sempre delle UA- verranno sistematicamente quotizzati, assegnati e secondo debite forme di riscatto diventeranno proprietà allodiale, oggi infatti rimangono essenzialmente patrimoni boschivi.
 
La normativa fascista rimane immutata fino ad oggi, anche se con il dopoguerra la realtà socio-economica della nazione è stravolta e alla contrazione del settore agricolo ed alla grande espansione delle aree urbane segue un forte ridimensionamento dell’esercizio degli usi civici, che vengono visti solo come impedimento all’utilizzo –spesso a fini costruttivi – dei terreni . La nascita delle Regioni nel 1972 –cui è trasferita la competenza – ed a partire dal 1984 l’inquadramento dei diritti civici nel campo della tutela ambientale e dei beni culturali e paesaggistici , sono le novità legislative importanti.
Oggi siamo forse arrivati ad una giusta ed esatta valutazione delle Università Agrarie e dei loro patrimoni, da ritenersi Beni Culturali per eccellenza nella loro complessità , tutelate dal Codice dei Beni Culturali nel dettaglio degli articoli 134 e 142 ma soprattutto tramite l’art. 2 nella sua accezione più ampia cioè “in quanto testimonianza avente valore di civiltà”.
Il moderno legislatore nazionale- e ne siamo contenti- ha saputo restituire al suo giusto valore qualcosa che pur essendo impalpabile ed invisibile ha significato vita e sopravvivenza di generazioni e che è alla base della storia agricola e delle collettività che abitano un territorio. Come ha del resto capito che pur non essendo un vincolo, il particolare regime giuridico di questi terreni, permette una tutela del territorio (Parchi e Riserve) non possibile in altro modo e così invece estremamente semplice. I terreni di un U. A. come Tolfa o Allumiere si auto tutelano, tutti i cittadini vi concorrono perché è la fonte del loro stesso sostentamento
U.A. Isola Farnese Roma
U. A. Cesano
U. A. Ostia Soppressa
R.D. 21 gennaio 1923